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Rashomon

Rashomon

Rashomon (羅生門 Rashōmon?, lett. “La porta nelle mura difensive”) è un film del 1950 diretto da Akira Kurosawa. In Italia è stato distribuito anche come Rasciomon[1][2].

Il film è un’imponente parabola sul relativismo e sulle mille sfaccettature della verità e, oltre a far conoscere il cinema giapponese in Europa, impose il grande talento dell’attore Toshirō Mifune sulla scena internazionale. Ispirato principalmente al racconto Nel bosco di Akutagawa, fu integrato con estratti da Rashōmon, dello stesso autore. Inoltre il regista aggiunse un finale non presente nei racconti, cercando di smorzare il forte nichilismo della storia.

Girato nella foresta vergine di Nara, nei dintorni di Kyoto, con un budget bassissimo, il film venne messo in circolazione in Giappone il 25 agosto 1950, contro il parere dei dirigenti della Daiei Motion Picture Company, la casa produttrice, che non ritennero meritevole il film. Grazie all’interessamento di Giuliana Stramigioli, docente di italiano presso l’Università degli Studi Stranieri di Tokyo e fondatrice della Italifim, Kurosawa riuscì ad inviare il film in Italia, dove venne presentato al Festival di Venezia, vincendo il Leone d’oro al miglior film. Pochi mesi dopo il film vinse anche un Premio Oscar come miglior film straniero (il quale all’epoca era assegnato ad honorem). Si aprì così il successo internazionale per un film (e per un regista) che in patria aveva trovato poco apprezzamento.

Rashōmon (羅生門?) o Rajōmon (羅城門?) vuol dire “La porta nelle mura difensive” (il carattere 生 sarà utilizzato solo in seguito ed è una delle tante denominazioni per porta) ed era uno dei due principali accessi alla città di Kyōto, in Giappone, quello a sud, contrapposto a Suzakumon a nord.

Periodo Heian, in una giornata di pioggia incessante, un boscaiolo, un monaco e un passante si fermano a parlare di un fatto increscioso avvenuto qualche tempo prima.

Si tratta dell’uccisione di un samurai, avvenuta per mano di un brigante che avrebbe anche abusato della moglie di lui. Il monaco (Minoru Chiaki), che aveva deposto al processo come testimone in quanto aveva incrociato lungo la strada la coppia prima del fattaccio, inizia a raccontare in flashback la storia come vi ha assistito nel tribunale. Riporta così le versioni del brigante-violentatore Tajōmaru, della moglie del samurai, e anche della vittima (che avrebbe parlato attraverso una medium). Le versioni sono contrastanti e non si capisce bene quale sia la verità. Infine il boscaiolo, che era colui che aveva rinvenuto il cadavere nel bosco, confessa agli uomini che attendono al fine della pioggia che anche ui è stato un testimone diretto, ma che non lo ha riferito al tribunale per non rimanere invischiato nella vicenda.

L’ultima versione è apparentemente la più realistica, perché non enfatizza il ruolo di ciascun protagonista nella vicenda, anzi li sminuisce nella loro vigliaccheria. Tuttavia anche la sua versione viene messa in discussione alla fine del film, quando si capisce che ha rubato dei preziosi oggetti delle vittime.

Infine viene rinvenuto un bambino abbandonato che uno dei tre uomini decide di prendere con sé con spirito di altruismo, e questo ristora il monaco assai turbato fino ad allora dal comportamento scellerato degli uomini.

Tutto il racconto si è svolto al riparo della porta in rovina ai limiti della città di Kyōto, che nell’ultima scena viene identificata da un segnale come Rashōmon.

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