La grande guerra è un film del 1959 diretto da Mario Monicelli, prodotto da Dino De Laurentiis e interpretato da Alberto Sordi e Vittorio Gassman.
È considerato uno dei migliori film italiani sulla guerra e uno dei capolavori della storia del cinema. Vincitore del Leone d’oro al Festival del Cinema di Venezia ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini e nominato all’Oscar quale miglior pellicola straniera, si aggiudicò inoltre tre David di Donatello e due Nastri d’argento. Ottenne un enorme successo anche all’estero, soprattutto in Francia.
Nel settembre 2009 il film è stato scelto per la pre-apertura della 66ª edizione del Festival del Cinema di Venezia. Nel gennaio 2011, come omaggio a Monicelli scomparso da poco, la Cineteca di Bologna organizzò una retrospettiva in suo ricordo, proiettando nel cinema Lumiére La grande guerra e altri lavori del regista. È stato successivamente inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare, “100 pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978”.
1916. Il romano Oreste Jacovacci e il milanese Giovanni Busacca si incontrano presso un distretto militare durante la chiamata alle armi. Il primo promette con l’inganno di far riformare l’altro in cambio di denaro. I due si incontrano nuovamente su una tradotta per il fronte: dopo l’ira iniziale di Giovanni, finiscono per simpatizzare e divenire amici. Seppure di carattere completamente diverso sono uniti dalla mancanza di qualsiasi ideale e dalla volontà di evitare ogni pericolo pur di uscire indenni dalla guerra. Attraversate numerose peripezie durante l’addestramento, i combattimenti e i rari momenti di congedo, in seguito alla disfatta di Caporetto vengono comandati come staffette portaordini, mansione molto pericolosa, che viene loro affidata perché considerati come i “meno efficienti”.
Una sera, dopo aver svolto la loro missione, si coricano nella stalla di un avamposto poco lontano dalla prima linea, ma una repentina avanzata degli austriaci li “trasporta” in territorio nemico. Sorpresi ad indossare cappotti dell’esercito austro-ungarico nel tentativo di fuga, vengono catturati, accusati di spionaggio e minacciati di fucilazione. Sopraffatti dalla paura ammettono di essere in possesso di informazioni cruciali sul contrattacco italiano sul Piave, e pur di salvarsi decidono di passarle al nemico. L’arroganza dell’ufficiale austriaco ed una battuta di disprezzo verso gli italiani ridà però forza alla loro dignità, portandoli a mantenere il segreto fino all’esecuzione capitale, l’uno insultando spavaldamente il capitano nemico e l’altro che, dopo la fucilazione del compagno, finge di non essere a conoscenza delle informazioni e viene così fucilato poco dopo l’amico.
La battaglia si conclude poco tempo dopo, con la vittoria dell’esercito italiano e la riconquista della postazione caduta in mano agli Austriaci, ignorando il sacrificio nobile di Busacca e Jacovacci, ritenuti fuggiaschi, i quali hanno optato per la fucilazione pur di non tradire i propri connazionali.