Burt Lancaster nacque a Harlem, uno dei quartieri più poveri di New York, quarto dei cinque figli di James Lancaster, impiegato postale di origine irlandese. Mentre frequentava la DeWitt Clinton High School, vinse una borsa di studio alla New York University per meriti sportivi, ma vi rinunciò per dedicarsi alla sua più grande passione, fare l’acrobata. Insieme all’amico Nick Cravat diede vita al duo acrobatico Lang & Cravat e si esibì come trapezista al Kay Brother Circus, una compagnia che dava spettacoli in Virginia. Nel 1935 sposò una collega del circo, June Ernst, anche lei trapezista. Il matrimonio fu piuttosto breve ma i due si lasciarono da buoni amici.
Nel 1941, dopo 10 anni di attività circense, si slogò un polso e fu costretto a trovarsi un’altra occupazione. Lavorò per qualche tempo come commesso in un grande magazzino, poi in una fabbrica di refrigeratori, infine alle biglietterie per i concerti organizzati dalla CBS di New York. Si arruolò volontario durante la seconda guerra mondiale, con destinazione ai servizi speciali. Nel giugno 1943 venne inviato prima in Africa settentrionale e successivamente sbarcò in Italia con le truppe alleate. Proprio in Italia incontrò Norma Anderson, ausiliaria dell’esercito, vedova di guerra e già madre di un bambino. Nacque un legame sentimentale che, dopo la fine della guerra, si concretizzò nel matrimonio. Norma darà a Lancaster cinque figli e la loro unione durerà ventitré anni.
Nel 1945 la vita di Lancaster cambiò quasi per caso: in ascensore, un agente teatrale lo notò per il suo fisico atletico e, scambiandolo per un attore, gli propose la parte di un sergente tutto d’un pezzo in un lavoro teatrale di Broadway, A Sound of Hunting, un dramma bellico da cui nel 1952 sarà tratto anche il film Otto uomini di ferro. A Broadway avvenne l’incontro con Harold Hecht, che diventò suo agente nonché suo amico, e gli procurò un provino a Hollywood. Nel 1946 il produttore Hal B. Wallis lo scritturò per due film all’anno per sette anni, ma Lancaster riuscì a far inserire nel contratto una clausola che gli permetteva di girare a sua scelta un terzo film all’anno per un’altra casa di produzione.
Proprio grazie a questa clausola, nell’attesa del ruolo per il quale era stato scritturato (Furia nel deserto sarà pronto soltanto un anno dopo), Lancaster girò nel frattempo per la Universal il suo primo film, I gangsters (1946), basato su un racconto di Hemingway, che lo fece subito notare dalla critica e dagli spettatori, che apprezzarono la sua recitazione asciutta e controllata, ma anche la sua prestanza fisica e il sorriso perfetto. Il secondo ruolo importante giunse l’anno dopo con Forza bruta, una pellicola d’ambiente carcerario in cui interpretò un detenuto che, durante un tentativo di evasione, viene ucciso con i compagni.
Wallis continuò a utilizzare Lancaster come protagonista, ma gli assegnò ruoli da “duro”, stereotipati e poco convincenti. Nello stesso periodo il produttore aveva sotto contratto un altro giovane attore di bella presenza, Kirk Douglas, che stringerà con Lancaster una solida amicizia. I due comparirono insieme in Le vie della città (1948), un altro gangster-movie che però non entusiasmò la critica.
Desideroso di ampliare la propria immagine e di dimostrare le proprie possibilità drammatiche, Lancaster accettò una paga inferiore e un ruolo da comprimario recitando in Erano tutti miei figli (1948), versione cinematografica dell’omonimo dramma di Arthur Miller che denuncia chi si è servito cinicamente della guerra per ottenere profitti immeritati. Il protagonista del film Edward G. Robinson non poté fare a meno di notare le capacità del giovane Lancaster dopo soli due anni di carriera, e lo elogiò molti anni dopo nella propria autobiografia. Una ulteriore prova drammatica fu quella de Il terrore corre sul filo (1948), che vide Lancaster impegnato in un ruolo tutto giocato sulla psicologia dei personaggi, un thriller costruito in un unico ambiente (in origine si trattava di un radiodramma).
Finalmente soddisfatto dei giudizi della critica, Lancaster si cimentò in una ulteriore sfida: insieme a Hecht costituì una società di produzione, la Norma Productions, allo scopo di realizzare in autonomia i copioni di suo gradimento, senza condizionamenti da parte delle grandi case cinematografiche. Dopo i primi tentativi non perfettamente riusciti, Lancaster finalmente trovò un copione adatto ai suoi trascorsi da acrobata e con il quale poter far sfoggio della propria prestanza fisica: La leggenda dell’arciere di fuoco (1950) gli permise di esibirsi in una serie di virtuosismi da ginnasta, per i quali la casa di distribuzione si premurò di diffondere alla stampa la notizia che l’attore non aveva avuto bisogno di controfigure.
Nel 1953 Lancaster affrontò un nuovo, grande ruolo, quello del sergente Warden, in Da qui all’eternità, riduzione cinematografica dell’omonimo romanzo di James Jones. La sequenza sulla spiaggia tra lui e Deborah Kerr procurò al film qualche noia, ma viene ancor oggi citata tra le scene d’amore più belle e intense di tutta la storia della cinematografia. Al film vennero assegnati ben otto Oscar, ma Lancaster, pur avendo ricevuto la nomination, si vide soffiare la statuetta da William Holden, vincitore per Stalag 17 – L’inferno dei vivi.
Tra i film che Lancaster produsse e interpretò successivamente, sono da ricordare i western Vera Cruz (1954), in cui recitò accanto a Gary Cooper, L’ultimo Apache (1954), Il vagabondo delle frontiere (1955), che sarà la sua prima regia, e La rosa tatuata (1955), che vide l’esordio di Anna Magnani in una produzione americana (interpretazione che valse all’attrice italiana l’Oscar alla miglior attrice).
Nel 1956 arrivò finalmente l’occasione di realizzare un film sul mondo del circo. Ottenuto un budget rilevante, Lancaster e Hecht riuscirono a scritturare come co-protagonisti Tony Curtis e Gina Lollobrigida e lo spettacolare risultato fu Trapezio, che venne diretto da Carol Reed.
Nella seconda metà degli anni cinquanta la casa di produzione di Lancaster e Hecht iniziò a sperimentare le prime difficoltà: i film Sfida all’O.K. Corral (1957) e Piombo rovente (1958), pur memorabili, non resero come nelle aspettative. Nacquero inoltre le inevitabili discussioni fra i due per il differente atteggiamento nelle scelte di produzione, con Hecht più attento al lato economico mentre Lancaster privilegiava nel copione il lato artistico e l’impegno sociale. Nel 1959 William Wyler gli offrì la parte di Ben Hur nel film omonimo, ma Burt Lancaster, ateo già noto nell’ambiente del cinema e fuori, rifiutò la parte (che andò a Charlton Heston).
Il successivo L’uomo di Alcatraz (1962), in cui interpretò il controverso ruolo dell’ergastolano Robert Stroud, appassionato di ornitologia, sarà l’ultimo film prodotto dalla sua società, prima dello scioglimento per insormontabili difficoltà finanziarie.
Il pubblico italiano ricorda con grande rispetto Lancaster per il difficile e complesso ruolo del principe di Salina ne Il Gattopardo di Luchino Visconti (1963). Il film ebbe un grande successo in Italia e in Francia, ma gli incassi non riuscirono comunque a recuperare gli ingenti investimenti della produzione, veramente faraonici per l’epoca.
Nel 1964 l’attore interpretò il ruolo di un fanatico generale che trama contro lo Stato in Sette giorni a maggio, un inquietante thriller fantapolitico in cui recitò, nella parte del suo antagonista, anche il vecchio amico Kirk Douglas. Nel 1965 fu la volta de Il treno, film bellico ambientato nel 1944 nella Francia occupata dall’esercito nazista. Come il precedente, anche questo film fu diretto da John Frankenheimer, amico personale di Lancaster e suo grande estimatore. Dopo l’epico e grottesco western La carovana dell’alleluja (1965), Lancaster girò I professionisti, uno dei suoi migliori film d’azione, al fianco di Lee Marvin, Robert Ryan e Claudia Cardinale.
Nel 1966, stanco di ruoli di puro intrattenimento, decise di interpretare un altro personaggio anticonvenzionale in Un uomo a nudo (The Swimmer), tratto da un racconto di John Cheever.
Come Un uomo a nudo anche il successivo Ardenne ’44, un inferno (1969) fu un insuccesso commerciale, per cui Lancaster, unicamente allo scopo di risollevare le proprie quotazioni, nel 1970 decise di interpretare il film che qualche anno più tardi non esiterà a definire «un mucchio di ciarpame». Si tratta di Airport (1970), una pellicola del filone “catastrofico” che, pur snobbato dalla critica per tutti gli anni settanta, sarà un genere di grande successo di pubblico. In seguito, dopo ben tre western, Io sono la legge (1971), Io sono Valdez (1971) e Nessuna pietà per Ulzana (1972), Burt Lancaster tornò al film d’azione con Scorpio (1973), Azione esecutiva (1973), Ultimi bagliori di un crepuscolo (1976) e La lunga notte di Entebbe (1977).
Nel 1974 Lancaster tornò in Italia per lavorare ancora con Visconti in Gruppo di famiglia in un interno, e successivamente con Gianfranco De Bosio per il kolossal televisivo su Mosè. Nel 1976 interpretò il patriarca di una grande famiglia emiliana nel capolavoro di Bernardo Bertolucci Novecento, e successivamente vestì i panni di un generale statunitense in La pelle (1981), diretto da Liliana Cavani e tratto dall’omonimo romanzo di Curzio Malaparte.
Colpito da un ictus, morì nel 1994.