Nato a Luzzara, un piccolo comune in provincia di Reggio Emilia, il 20 settembre del 1902, frequentò le scuole elementari dapprima a Luzzara e in seguito a Bergamo, dove conseguì la licenza ginnasiale presso il liceo ginnasio Paolo Sarpi. Proseguì gli studi ad Alatri (in provincia di Frosinone) presso il celebre liceo classico Conti Gentili; nella cittadina laziale trascorse tre anni che furono per lui «estremamente interessanti».
Dopo il liceo tornò in Emilia. Si iscrisse alla Facoltà di Legge dell’Università di Parma. Il suo primo lavoro fu quello di istitutore nel convitto nazionale Maria Luigia di Parma. Fu insegnante di Giovannino Guareschi, Attilio Bertolucci e Pietro Bianchi. La sua più grande passione fu però la scrittura: nel 1928 intraprese a Parma la carriera giornalistica. Il suo esordio giornalistico sulla Gazzetta di Parma è datato 19 agosto 1926: Zavattini descrisse con ironia una gita scolastica con gli allievi del “Maria Luigia”. Nel 1929 svolse il servizio militare a Firenze. Frequentò il Caffè Le Giubbe Rosse, luogo d’incontro di letterati ed artisti di grande fama. Entrò in contatto coi cosiddetti “solariani”: Vittorini, Bonsanti, Ferrata, Carocci, Montale, Ungaretti e Borgese.
Nel 1930 avviò una collaborazione con la Rizzoli Editore, che si prolungò per un lustro. Zavattini si trasferì a Milano e scrisse su varie riviste: “Lei”, “Novella”, “Piccola”, “Il Secolo Illustrato” e “Cinema illustrazione”. Su quest’ultima curò una rubrica, Cronache da Hollywood, dove espresse la sua creatività inviando corrispondenze immaginarie dalla capitale mondiale del cinema, firmate con pseudonimi sempre cangianti (Jules Parme, Louis Sassoon, Kaiser Zha). La fortunata rubrica durò dal 1930 al 1934, poi l’impegno di caporedattore (era stato nominato nel 1933) assorbì tutto il suo tempo. Alla fine di giugno 1935 succedette a Giuseppe Marotta come direttore responsabile.
Nel 1936 fondò per la Rizzoli il Bertoldo, fortunata rivista satirica, chiamando a dirigerla Giovanni Mosca. L’anno dopo, a causa di una serie di contrasti con Angelo Rizzoli, l’editore decise la risoluzione del contratto. Ma Zavattini non rimase disoccupato: venne subito assunto da Mondadori come direttore editoriale di tutti i periodici (fino al 1939). Per per tre anni collabora al “Marc’Aurelio”. Nel 1937 prende in gestione il quindicinale “Grandi firme” (fondato e diretto da Pitigrilli), che trasforma con successo in un settimanale. Nell’aprile 1938 Pitigrilli gli cede la direzione, ma in ottobre il Minculpop lo sopprime per un articolo giudicato disfattista. Zavattini non si arrende e prosegue le pubblicazioni sostituendo la testata: dal 13 ottobre 1938 “Grandi firme” è sostituito da “Il Milione” (sottotitolo: “Novelle e varietà”). Dal novembre 1938 dirige con Achille Campanile il settimanale umoristico «Il Settebello».. In esso tiene due rubriche (“Lettere di Zavattini” e “Diario di un timido”) e dal primo numero del settimanale “Grazia” inaugura un’altra rubrica rivolta alle mamme (“I vostri bambini vi guardano”). Dal 1º giugno 1939 scrive recensioni cinematografiche sul settimanale “Tempo”. A fine luglio si dimette da direttore editoriale della Mondadori conservando tuttavia la direzione di “Ecco/Settebello” (nuova testata subentrata a “Settebello”) fino al 26 settembre 1940.
La sua attività di narratore, per lo più umoristico, satirico, ironico, aveva preso l’avvio nel 1931 con l’opera Parliamo tanto di me, che riscosse uno straordinario successo. Scrittore non sempre facile da inquadrare nelle “correnti” del Novecento, autore fortemente critico verso la società, osservata tanto nei suoi aspetti dolorosi quanto in quelli umoristici, Zavattini costituì un fenomeno particolarissimo nell’ambito della letteratura italiana del Novecento. Nelle sue prime opere, dal 1931 al 1943, Zavattini («Za» per gli amici) presentò, in forme e contenuti inconsueti, il rapporto tra realtà e fantasia, cercando di privilegiare la prima attraverso originali mediazioni con la seconda. Oltre al libro d’esordio Parliamo tanto di me, i suoi primi e più noti lavori letterari furono I poveri sono matti, del 1937, Io sono il diavolo (1941), Totò il buono (1943), Straparole (1967).
Nel 1934 si avvicinò al mondo del cinema. Da quell’anno, oltre alla produzione letteraria e a quella pubblicistica, cominciò a dedicarsi con assiduità alla settima arte come soggettista e sceneggiatore. Nel 1939 incontrò Vittorio De Sica, con cui realizzò una ventina di film, tra i quali capolavori del neorealismo come Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951), tratto dal suo romanzo Totò il buono, Umberto D. (1952).
Tra i registi del cinema italiano e internazionale con i quali Zavattini lavorò nei suoi oltre 80 film troviamo: Michelangelo Antonioni, Hall Bartlett, Alessandro Blasetti, Mauro Bolognini, Mario Camerini, René Clément, Giuseppe De Santis, Federico Fellini, Pietro Germi, Alberto Lattuada, Mario Monicelli, Elio Petri, Dino Risi, Roberto Rossellini, Mario Soldati, Luchino Visconti, Damiano Damiani in L’isola di Arturo (1962).
Nel 1952 realizzò un progetto con il celebre fotografo statunitense Paul Strand. L’idea era quella di raccontare la vita quotidiana di un paese italiano come specchio dello spirito di un popolo. L’opera fu edita nel 1955 da Einaudi con il titolo Un paese. È considerata uno dei classici della storia della fotografia in Italia.
Zavattini si distinse, dunque, per la produzione copiosissima di soggetti cinematografici e per l’attività instancabile volta al rinnovamento del cinema, una forma d’arte che egli considerava duttile e popolare, che avrebbe voluto piegare al rinnovamento civile della società, sottraendola alle lusinghe del mercato. Non va dimenticata infatti la sua opera costante volta a svecchiare anche altre forme di espressione artistica. Sul piano letterario l’apogeo critico lo raggiunse nel 1970 grazie alla pubblicazione di NON LIBRO + disco, un volumetto estroso e anticonformista, scritto appositamente per non essere letto, cui era allegato un 45 giri. L’opera fu particolarmente cara all’autore sebbene molto contestata, ma l’elemento di rottura in essa preminente finì poi per stemperarsi nel clima convulso dei primi anni settanta.
Zavattini si cimentò inoltre e fruttuosamente nella poesia. Una citazione particolare spetta al poemetto Toni Ligabue (1967), sull’infelice pittore “naif” Antonio Ligabue e alla serie di poesie scritte nel dialetto della sua terra, dal titolo Stricarm’ in d’na parola (Stringermi in una parola), un libro che Pasolini definì “bello in assoluto”, uscito a Milano, nel 1973.
A Luzzara istituì nel 1967 il Premio dei Naïfs e diede origine al primo e unico Museo Nazionale delle Arti Naïves.
Oltre che scrittore, egli fu sceneggiatore di fumetti e soprattutto sceneggiatore cinematografico, commediografo, poeta, animatore culturale (in Italia e all’estero), promotore di cooperative culturali e di circoli del cinema. Dal dicembre 1952 fino al 1965 Zavattini fu presidente della Federazione italiana dei circoli del cinema (la prima nata delle associazioni nazionali di cultura cinematografica in Italia, nel novembre 1947). Zavattini fu anche un pittore sensibilissimo.
Nel 1955, a coronamento di un impegno pluridecennale, gli venne assegnato il “Premio mondiale per la Pace”. Nel 1973 riceve il Premio simpatia, si tratta dell’Oscar capitolino per la solidarietà. Nel 1976 accettò l’invito da parte di Radio Rai di condurre una trasmissione di varia attualità. Voi ed io, punto a capo andò in onda per venti puntate dalla casa romana dello scrittore. Il 25 ottobre 1976 Zavattini annunciò: “E adesso dirò una parola che finora alla radio non ha mai detto nessuno”. Dopo una lunga pausa di silenzio disse: “Cazzo…”. Zavattini spiazzò tutti, anche il regista, il giovane Beppe Grillo, che non era stato avvisato.
Nel 1979 contribuì alla fondazione dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, di cui fu presidente fino alla sua morte, e che così definì nel 1980: “… è un archivio più del presente che del passato”. Nello stesso anno gli venne conferito il Premio Flaiano per la sceneggiatura per il complesso della produzione artistica. Nel 1982 diresse e interpretò, ormai ottantenne, il suo unico film da regista: La Veritàaaa. Nel dicembre 1985 ottenne la cittadinanza onoraria di Alatri.
La morte lo colse ancora attivo, ottantasettenne, a Roma, il 13 ottobre 1989. Collezionista d’arte, si era specializzato nella raccolta di mini-quadri (quadre di dimensioni 8 x 10 cm.) ma anche nell’organizzazione di raccolte per altri: ad esempio la Collezione “50 pittori per Roma” promossa per il produttore Caramelli, o la Collezione “I Miti Moderni (o del Dopoguerra)” per Vittorio De Sica oppure, ancora, la Collezione “Isa Miranda”.